Quando si parla di effetto Boy Scout nel contesto della comunicazione d’allerta (soprattutto in ambito emergenziale, geopolitico o mediatico), il termine non richiama il motto “lascia il mondo meglio di come l’hai trovato”, ma una conseguenza paradossale: quella per cui, dopo troppe segnalazioni d’allarme finite nel vuoto, la popolazione smette di reagire.
È una forma di desensibilizzazione collettiva, simile a quella che si verifica col “grido al lupo” della favola.
L’origine metaforica del termine
Il richiamo ai Boy Scout, in questa accezione, è semi-ironico: immagina un gruppo di giovani benintenzionati che si preparano sempre con zelo a ogni possibile catastrofe, allestiscono tende, controllano i viveri, fanno prove d’evacuazione — ma poi non succede mai nulla. Alla lunga, anche loro smettono di prendere sul serio gli allarmi. Peggio: chi li osserva comincia a pensare che si stiano solo allenando per sport, non per vera necessità.
Come nasce l’effetto nella realtà
- Toni drammatici continui, usati per catturare attenzione.
- Allarmi troppo frequenti, che non si concretizzano.
- Mancanza di conseguenze visibili, dopo ogni segnalazione.
- Saturazione emotiva del pubblico.
- Svalutazione della fonte, che viene percepita come ansiogena o inattendibile.
Il risultato è che anche quando l’allarme è fondato, nessuno lo ascolta più.
Perché è pericoloso
L’effetto Boy Scout in questo senso è pericoloso perché indebolisce la capacità di risposta collettiva. Non appena si presenta un rischio reale, la reazione è troppo debole, troppo tardi. L’assuefazione emotiva, in ambito emergenziale, può diventare letale.
Dove si osserva più spesso
- Allarmi meteo e climatici: “Tanto dicono sempre che arriva la bomba d’acqua…”
- Minacce geopolitiche: “Ogni giorno parlano di guerra imminente, e non succede nulla…”
- Sanità pubblica: “Un’altra emergenza sanitaria? Ne abbiamo già viste abbastanza…”
- Cyberattacchi: “Dicevano blackout digitale, ma internet ha sempre funzionato…”
Come evitarlo
Chi comunica scenari a rischio dovrebbe:
- Dosare il linguaggio, evitando enfasi continua.
- Contestualizzare i pericoli, spiegando probabilità e impatti.
- Seguire con trasparenza anche l’evoluzione degli allarmi passati.
- Evitare di diventare la ‘voce che grida al lupo’, anche in buona fede.
Quindi?
L’effetto Boy Scout, in questo senso, è figlio di un eccesso di zelo comunicativo non accompagnato da concretezza. È un campanello d’allarme per chi informa, prima ancora che per chi ascolta. Il problema non è suonare l’allarme: è farlo con troppa frequenza, senza conseguenze visibili, finendo per anestetizzare la coscienza collettiva.