Fasi del post-trauma (defusing, debriefing)

Dopo l’emergenza, inizia la vera stabilizzazione

Il trauma non finisce con la fine dell’evento

Molti pensano che “se è finita, è passata”.
Ma il vero impatto psicologico spesso arriva dopo. Quando cala l’adrenalina, restano le immagini, i suoni, i vuoti dentro.
Per questo servono spazi e tempi per decomprimere, non solo per “tornare alla normalità”.

Cos’è il defusing?

Il defusing è un intervento immediato (entro le prime ore) dopo l’evento critico.
Serve a:

  • fare una prima elaborazione emotiva rapida
  • abbassare la tensione
  • normalizzare le reazioni
  • limitare il rischio di blocchi o shock psicologici

Esempio: dopo un blackout o un incidente, una breve conversazione guidata in cui si chiede:

“Cosa hai visto? Cosa hai pensato? Come stai adesso?”

Cos’è il debriefing?

Il debriefing è un incontro più strutturato, collettivo, da svolgere entro 48-72 ore dopo l’evento.
Si lavora in piccoli gruppi con un moderatore e si:

  • ripercorrono i fatti
  • esprimono emozioni
  • validano le reazioni
  • offrono elementi di comprensione e rassicurazione

Il debriefing aiuta a ricostruire il senso dell’esperienza, a non sentirsi soli o sbagliati.

Perché sono fondamentali?

Senza defusing e debriefing, c’è più rischio di:

  • attacchi di panico ritardati
  • insonnia
  • colpe non gestite
  • stress post-traumatico (PTSD)
  • isolamento

Con questi strumenti, invece, si ottengono:

  • maggiore coesione del gruppo
  • percezione di sicurezza
  • riduzione del peso emotivo individuale

Chi può farli? Anche tu (con metodo)

Non serve essere psicologi per fare un defusing di base via radio o in presenza.
Basta:

  • ascoltare
  • non giudicare
  • porre domande semplici
  • accogliere ogni risposta come “valida”
    Il debriefing invece richiede più preparazione, ma puoi favorirlo organizzando o suggerendolo.

Frasi utili per un defusing via PoC

  • “Come ti senti adesso, dopo tutto quello che è successo?”
  • “Cosa ti è rimasto più impresso?”
  • “Cosa ti ha fatto sentire più al sicuro?”
  • “Ti va di parlarne ora, o più tardi?”
    Sono frasi non intrusive, ma capaci di aprire uno spazio emotivo.

Il vero soccorso continua dopo

L’evento finisce, ma l’impatto resta.
Offrire uno spazio per parlarne, decomprimere, condividere è un dono immenso.
Che tu sia operatore o cittadino, se apri una voce, un canale, una pausa per ascoltare…

stai già facendo defusing. Stai già aiutando.

Psicologia in emergenza: perché è importante anche per i comuni cittadini

Anche tu puoi fare la differenza: ecco perché la psicologia in emergenza ti riguarda

Non serve essere psicologo o soccorritore per aiutare

L’idea che solo medici o operatori specializzati possano “fare qualcosa” in emergenza è falsa.
Ogni persona che si trova vicina a un evento critico, fisicamente o anche solo via radio, ha un impatto su chi sta vivendo la crisi.
Anche una parola, un tono di voce o il silenzio possono accendere o spegnere una reazione emotiva.

Le emergenze non capitano solo agli altri

Blackout, incidenti, attacchi di panico, esplosioni, urla, persone disperse.
Queste situazioni possono accadere ovunque, anche nella vita di chi non si considera “del mestiere”.
Saper gestire emotivamente quei momenti non è un lusso da esperti: è una competenza civile di base.

Un esempio pratico: la voce giusta, al momento giusto

Una persona in panico apre un canale PoC:
“C’è un incendio! Sto correndo! Non so dove andare!”
Se la risposta è: “Dove sei esattamente? Ti ascolto. Respira con me”, non stai facendo psicoterapia.
Stai facendo umanità applicata in emergenza.
E può bastare per ridurre lo shock, riportare lucidità, facilitare l’intervento.

Cosa puoi fare anche se sei “solo” un cittadino?

  • Imparare a riconoscere segnali di stress acuto
  • Usare un linguaggio chiaro e rassicurante
  • Evitare frasi dannose come “non è niente”
  • Contenere l’emotività altrui senza giudicare
  • Sapere quando passare la comunicazione ai professionisti

Il ruolo della PoC Radio: una responsabilità condivisa

Chi comunica via PoC non è un semplice ascoltatore. È un nodo attivo nella rete di aiuto.
Chi riceve la prima chiamata di emergenza ha in mano la fase più delicata: quella in cui tutto può peggiorare… o iniziare a rientrare.
Conoscere le basi della psicologia in emergenza ti rende parte della soluzione.

Non è teoria, è sopravvivenza emotiva

Sapere come parlare, cosa dire, cosa evitare non è cultura “soft”. È formazione per la resilienza collettiva.
In una società fragile, i cittadini preparati fanno la differenza.
Non per sostituire i professionisti, ma per preparare il terreno del soccorso reale.

Prepararsi è un atto di responsabilità verso gli altri

Ogni cittadino che sa come gestire una voce in panico, ogni persona che sa contenere uno stato emotivo acuto, contribuisce a una comunità più solida, più umana, più pronta.
Non servono titoli: serve presenza, ascolto, parole scelte con cura.
Ed è tutto ciò che insegna la psicologia in emergenza.