Oltre la metà dei cittadini: “allarme inutile”

In Italia, oltre la metà dei cittadini considera l’allarme emergenziale un “allarme inutile”, secondo vari sondaggi (tra cui SWG, 2024-2025), per una somma di ragioni profonde, culturali e psicologiche.
Non è ignoranza. È sfiducia strutturale. Ecco perché:

Esperienza storica: pochi allarmi, troppi disastri

“Ci hanno avvisati dopo il terremoto, non prima.”

  • Le esperienze passate (es. terremoti, alluvioni) hanno mostrato sistemi che non funzionavano o che arrivavano tardi.
  • Quindi la gente pensa: “Tanto non serve”.

Comunicazione inefficace e paternalista

“È tutto vago, tecnico, e mai concreto.”

  • Gli avvisi (tipo quelli di IT-Alert o Protezione Civile) spesso sono freddi, generici e senza istruzioni pratiche.
  • La popolazione non capisce cosa deve fare davvero.
  • Nessuno spiega: “Esci di casa! Resta fermo! Chiama qualcuno! Prendi una torcia!”

Assuefazione agli allarmi “falsi”

“Ci avevano detto che sarebbe stato terribile, e invece…”

  • L’abuso di toni drammatici in passato ha generato effetto boy-scout: si suona l’allarme, ma non succede niente.
  • Le persone si abituano e non ci credono più.
  • Peggio ancora: iniziano a deriderli.

Meccanismo psicologico: rimozione della paura

“Se lo ignoro, non esiste.”

  • Accettare un’allerta significa accettare il rischio reale, e il cervello preferisce rimuovere.
  • È più facile considerare l’avviso “esagerato” che affrontare l’idea che potresti perdere tutto.

Fiducia istituzionale ai minimi storici

“Non mi fido di chi mi manda l’avviso.”

  • Secondo Eurobarometro 2023, solo il 36% degli italiani si fida delle autorità centrali in situazioni di crisi.
  • Se chi lancia l’allarme non è percepito come credibile, anche l’avviso più corretto viene sminuito.

Quando oltre la metà degli italiani considera un allarme inutile, non è superficialità.
È il sintomo di:

  • una fiducia perduta,
  • una comunicazione fallita,
  • e una cultura che ha smesso di credere che valga la pena agire prima del disastro.

Italia: sicurezza e scetticismo diffuso

La sensibilità verso la preparazione individuale in caso di emergenza in Italia è piuttosto tiepidа, se non addirittura scettica, secondo recenti dati:

Sentiment diffuso: poco convinti

  • Circa il 60% degli italiani ha sentito parlare del «kit di sopravvivenza UE» (per le prime 72 ore) ma di questi:
    • 35% non ha compreso di cosa si trattasse
    • Oltre la metà lo considera un “allarme inutile”

Questo indica un forte scetticismo diffuso e un coinvolgimento emotivo limitato.

Formazione: presente tra gli addetti, non tra i cittadini

  • Tra i medici e professionisti della sanità italianа, il 74% ha mostrato interesse alla preparazione emergenziale, e 86% riconosceva la sua importanza.
    Ma:
    • 90% lamenta la mancanza di corsi dedicati.

Questo evidenzia un gap formativo tra chi opera professionalmente e la popolazione generale.

Allerta pubblica: in sviluppo

  • Sta diventando operativo IT‑Alert, sistema di allerta via cell broadcast, già sperimentato e usato per emergenze reali (es. incidenti, funerali papali).

È un passo avanti per informare la popolazione, ma non implica che gli individui siano poi realmente preparati in autonomia.

Confronto con altri Paesi europei

  • In paesi come Finlandia, Svezia, Lituania, Estonia, le politiche stanno spingendo fortemente sulla resilienza domestica (kit, guide, esercitazioni), e la risposta dei cittadini è molto più convinta .
  • In Italia (e in parte in Europa occidentale), le iniziative esistono ma non generano adesione emotiva o attiva simile .

Sì, c’è consapevolezza: la campagna UE ha raggiunto la maggioranza, e IT‑Alert è in diffusione.
Ma:

  • La comprensione resta insufficiente (~35% non ha capito il messaggio),
  • Lo scetticismo prevale (la maggioranza ritiene le misure inutili),
  • È forte la necessità di campagne chiare, esercitazioni e formazione.

In Italia la spinta verso l’autopreparazione è ancora debole, e serve un mix di comunicazione efficace, esperienze pratiche, coinvolgimento emotivo e cultura per superare la passività attuale.

Scettici perché

I cittadini italiani (e in parte europei) sono spesso scettici verso la preparazione emergenziale per una combinazione precisa di fattori culturali, politici e psicologici. Ecco perché:

Cultura della delega istituzionale

“Ci penserà lo Stato, la Protezione Civile, l’Esercito.”

  • In Italia è diffusa l’idea che in caso di emergenza sia compito delle autorità intervenire.
  • Questo riduce il senso di responsabilità personale.
  • Mancano campagne che promuovano l’autonomia e la resilienza familiare come dovere civile.

Assenza di una narrazione concreta e quotidiana

Le emergenze sono percepite come astratte o “da film”.

  • Molti cittadini non hanno mai vissuto direttamente blackout lunghi, guerre, collasso delle reti.
  • La comunicazione è spesso generica, tecnica o paternalistica.
  • Mancano esempi reali, testimonianze emotive, simulazioni coinvolgenti.

Disillusione e sfiducia verso lo Stato

“Se nemmeno lo Stato è pronto, perché dovrei esserlo io?”

  • Quando le istituzioni non danno l’esempio, perdono autorevolezza (es. scuole senza piani di evacuazione aggiornati, comuni impreparati).
  • Il cittadino scettico spesso pensa: “Prepararmi a cosa, se tanto verremo travolti comunque?”

Paura camuffata da ironia

“Che faccio, mi compro il bunker?”

  • L’ironia (“zaino apocalisse”, “kit zombie”) è spesso una difesa psicologica per non affrontare l’ansia.
  • Prepararsi implica guardare in faccia la possibilità del disastro, cosa che molte persone evitano.

Percezione di inutilità pratica

“Tanto non servirebbe a niente.”

  • Se la preparazione non è concreta e misurabile, sembra solo una paranoia o una moda.
  • Mancano esempi chiari di casi reali in cui la preparazione ha fatto la differenza (es. alluvione di Genova, terremoto de L’Aquila, blackout 2003…).

Mancanza di ritualizzazione sociale

Nessuna “routine culturale” di preparazione.

  • In Finlandia o Giappone esercitarsi è normale.
  • In Italia, fare una prova evacuazione o tenere una torcia a casa è considerato da “fissati”.
  • Questo crea isolamento sociale per chi vuole prepararsi seriamente.

Lo scetticismo nasce da:

  • delega passiva
  • comunicazione inefficace
  • sfiducia istituzionale
  • difesa psicologica
  • mancanza di esperienze concrete

Ma sotto questo scetticismo c’è una paura reale, repressa, che aspetta solo il linguaggio giusto per emergere. Se il messaggio cambia tono – da catastrofismo a concretezza quotidiana – può scattare la scintilla.